La Luna e la neve – il sogno al Monte Cervialto
L’ inizio e la pianificazione…
Quando la bellezza chiama, il pensiero deve rapidamente lasciare spazio all’azione. La luna piena era una certezza, il meteo un’incognita da studiare attentamente, la determinazione del gruppo forte, quasi illimitata.
Allora da un pc si iniziano a valutare tutte le variabili, le mappe di GFS Plus vengono analizzate nei minimi dettagli, con occhi attentissimi ed acuti a scrutare tutti i probabili passaggi perturbati, la velocità dei venti e le precipitazioni che da strascico avrebbero continuato ad imperversare sul Cervialto.
I telefoni sono di fuoco, occorre assolutamente organizzare una spedizione ed in questi casi, non ci si affida ne al caso ne ai primi che si trovano disponibili, ma semplicemente a persone selezionate, ben addestrare e fidate.
Tre numeri di telefono dai quali parte un ping pong di domande, di pianificazioni e di decisioni drastiche ed immediate.
Il meteo da attente analisi dovrebbe reggere, salvo addensamenti residui con nebbie ad intermittenza. Il rischio è quello di non vedere la luna piena far splendere la coltre bianca o di osservarla per poco, ma soprattutto quello di ritrovarsi sul tratto più impervio in condizioni estreme data la probabile coincidenza di raffiche fortissime.
Ma ormai, la scelta è fatta: si parte!
Gli zaini sono carichi, le attrezzature scelte nei minimi dettagli, non si può commettere il benché minimo errore.
Abbigliamento perfetto, doppio paia di guanti, ricambi, ramponi, ciaspole, bastoncini, piccozza, torce (con vari ricambi e tante pile di scorta), caricabatterie portatile, telefoni di riserva, viveri, bevande calde, maschere, GPS e tutto ciò che avrebbe reso sicuro anche un imprevisto.
…si parte, direzione Lago Laceno e poi su per il sentiero…
Alle ore 17.00, dopo aver attraversato il piano l’acernese con non poche difficoltà, dato il tanto ghiaccio sulle strade e la neve non pulita dai mezzi, giungiamo a quota 1200 m del colle del Leone.
Posizioniamo l’auto in discesa pronta per il ritorno, scarichiamo le attrezzature e dopo uno sguardo al cielo, ci stingiamo la mano e partiamo.
Sulla nostra testa un cielo limpido, cornici di alberi ricoperti di neve e scenari fiabeschi. Alla nostra destra, un rosso tramonto che dal mare accompagnava il nostro sguardo alla ricerca dell’ultima luce.
Le torce ancora riposte nello zaino, con l’idea ben precisa di risparmiare per quanto più tempo possibile ogni fonte di illuminazione.
Il percorso è lungo, dobbiamo camminare ancora per 6 km, affrontando 600 m di dislivello in condizioni di neve fresca e instabile; è necessario centellinare forza e attrezzature.
I passi, all’inizio lenti e scanditi da cambi in testa al gruppo, per solcare con meno fatica la neve soffice, cominciano pian piano a prendere un ritmo incessante, finché, al calar della notte e giunti alla “famosa” torretta, sostiamo.
E’ assolutamente necessario integrare liquidi e zuccheri, evitare crisi e cali, evitare disidratazione e farsi incantare dalla possibilità di proseguire senza difficoltà.
Tuttavia, il rifornimento è rapido, il freddo congela rapidamente il sudore e l’umidità sugli abiti e sugli zaini ed è assolutamente vietato rischiare.
…il cammino è costante, la voglia è tanta…
Finalmente, dopo aver superato quota 1450 m, cominciamo ad assaporare un’essenza più selvaggia ed inedita ai nostri sguardi. La notte diviene un’amica da frequentare e scoprire, ci accoglie come una madre affettuosa ed invece di infierire sui nostri pensieri, rilassa l’animo e ci offre bellezza.
I faggi spettrali creano arcate principesche agli ingressi dei boschi più fitti e a volte, lasciano cadere in un sussulto morbido, il forte carico che portano dall’ultima nevicata.
Tracce di animali non se ne vedono, forse sono tutti scesi più a valle per cercare sopravvivenza e quest’ultimo dettaglio, ci incuriosisce ancor di più e ci rende unici osservatori di una montagna “inesplorata”.
Il buio aumenta, le torce ora sono d’obbligo e il luccichio che creano tra i cristalli di neve compensa la fatica che in quegli attimi, su strappi più impervi, cominciava a giocare qualche scherzetto.
Ma, mentre tutto sembrava filare liscio e le stelle ci accompagnavano lungo il percorso, il tempo comincia a cambiare e all’improvviso, una nuvola si impossessa del nostro monte.
Il cielo si oscura, la luce lontana della luna scompare, la neve comincia a cadere e la nebbia si infittisce tra gli alberi.
In quel preciso istante ci troviamo nel tratto più fitto del Cervialto, nel bosco di Filicecchio, dove siamo costretti a farci strada a colpi di bastoncini per aprirci un varco tra le fronde piegate.
La visibilità è ancora buona, ma l’obiettivo di osservare una notte di luna piena sembra svanire.
…l’attacco alla vetta è vicino…
Quota 1630 m, il bosco si interrompe per dar spazio al tratto finale. Un crinale con quasi 200 m di dislivello, scoperto, senza vegetazione, composto da rocce e sassi che tra la neve e il ghiaccio poco si notano e creano ostacolo.
L’ultima sosta è d’obbligo, l’ultimo sguardo di intesa e l’attenzione rivolta in alto, dove non solo il maltempo sembrava non terminare, ma addirittura si notava una fitta nebbia, quasi impenetrabile.
In quegli attimi l’odore di sconfitta era vicino, ma ormai erano le 19.30 e quando d’improvviso dietro le nuvole che viaggiavano all’impazzata, vedemmo la sagoma della luna, prendemmo dritti per la vetta.
Ore 19.34, procediamo dritti all’obiettivo, nessuno ormai può fermarci.
La salita è rapida e decisa seppur faticosa e resa difficoltosa da piccoli smottamenti e dal vento sempre più forte.
I guanti sottili non bastano più e per la prima volta, riesco a salire su una ripida pendenza con tutto l’abbigliamento tecnico possibile, coperto dalla testa ai piedi, senza sudare o percepire un minimo calore per lo sforzo.
La temperatura è davvero fredda, si sfiorano i -6° ed il tempo peggiora sempre di più.
Man mano che si sale lo scenario cambia, il vento di grecale comincia a sferzare a più non posso, è forte, impetuoso e penetrante.
Tutto dinanzi comincia a cambiare volto, la neve si uniforma e si muove al passo del vento, la nebbia ci avvolge totalmente, la visibilità si azzera. Abbiamo addirittura difficoltà nel vederci noi stessi, seppur il bagliore delle torce si espande con l’umidità.
Il monte scompare, i punti di riferimento saltano, la neve a terra si confonde con la nebbia, tutto intorno non rappresenta più la realtà e a quel punto, la voce di uno di noi chiede saggiamente se non sia il caso di ritornare indietro, data l’impossibilità dei movimenti.
Ma questo è fuori discussione, questa montagna la conosco da anni, è la mia centesima volta su questa vetta e anche ad occhi chiusi, avrei riconosciuto quelle pietre e quel percorso; mi fermo e faccio ascoltare un sibilo.
Lo riconosco bene, è il vento che passa tra le reti metalliche di un ripetitore in vetta, siamo vicini, non possiamo fermarci.
Intanto, la voce tra di noi viene interrotta da raffiche ancora più forti, ci stringiamo e finalmente, dal nulla, compare la cima.
La luna è solo un puntino lontano, non si vedono le valli, non si vede il cratere sommitale, non si vede nulla, eppure siamo felici e soddisfatti e ci “nascondiamo” in una angolo dove il vento ci lascia per qualche minuto.
…l’attesa, la discesa e il sogno
Volevamo attendere il passaggio della perturbazione, volevamo sperare fino alla fine in un miracolo, ma abbiamo dovuto constatare che la Luna era un miraggio e che la spedizione, seppur avendo raggiunto l’obiettivo, non era terminata nel migliore dei modi.
Gli abiti erano gelati, gli zaini bianchi e un pizzico di amarezza misto alla grande gioia che la natura regala in ogni caso, ci accompagnano lungo la discesa.
Una discesa resa più complessa dal manto nevoso che distaccandosi ad ogni passo, faceva emergere vuoti e rocce, ostacoli naturali ed altre piccole difficoltà.
Scendere non era un’impresa da poco, soprattutto a casa della visibilità che rendeva i passi ancor più difficili, con la possibilità di un errore in ogni momento.
Sembrava profilarsi una sorta di cammino impervio a chiusura di un obiettivo sfumato, ma fu proprio in quel momento che il cielo si aprì, la Luna comparve e la notte divenne blu scura nell’immensità di un bagliore che rendeva onore ad immacolati e candidi boschi.
Gli occhi quasi trattengono le lacrime, l’emozione è tanta, quella luce infondeva sicurezza e benessere come un elisir di imperitura felicità. Un’emozione da raccontare ma soprattutto da provare, attimi che portano con se la bellezza del vivere e la certezza di essere figli di una bellezza superiore.
Gli istanti rallentano, il cuore batte, la vista si perde, le parole si confondono. I passi ormai viaggiano rapidi e vellutati, l’animo è placato, la convinzione di aver fatto qualcosa di unico ci rende onore e soddisfazione.
Viaggiamo rapidi e orgogliosi della nostra compagnia, della nostra determinazione, del gruppo che abbiamo creato.
Sono le 22.00 e siamo già a valle. L’ impresa (per noi lo è) è compiuta.
Angelo Mattia Rocco
Un ringraziamento agli amici Adriano De Falco (Guida Escursionistica) e Riccardo Freda (Aspirante Guida). Gli unici con i quali avrei affrontato un’esperienza del genere.
Anzi, permettetemi di fare una citazione, ad un altro grande escursionista che stando lontano non ha potuto apprezzare con noi questo scenario, ma sarebbe stato il sicuro quarto membro di questa spedizione: Federico Alvino (triatleta)