Una dedica a Sasso di Castalda
“Lavorare nella destinazione turistica è un modo, unico ed irripetibile, per provare e vivere emozioni forti legati ad aspetti fondamentali della nostra esistenza: i rapporti umani. In queste brevi righe, ho voluto trasportare in versi le mie emozioni dopo un’estate di lavoro eccezionale.”
Sono sveglio, il caldo entra insistentemente dalla finestra. Attendo otto tocchi “grandi” e “tre” piccoli, ma non arrivano.
La mia prima mattina salernitana dopo un mese trascorso in Lucania, un mese che in se ha racchiuso mille immagini, mille parole e un fiume di sentimenti nuovi e contrastanti.
Quello che non ti aspetti in una vita, all’improvviso si concretizza in un borgo di 800 anime, sul “margine di faggete eterne che mai nessuno ha traversato”.
L’incontro con Sasso di Castalda, improvviso e inatteso, d’un tratto si è trasformato in un “quadro” vivente, in una sorta di “presepe” artistico, dove attori e comparse non hanno recitato, ma bensi interpretato lo spettacolo vero della vita.
Di borghi, montagne e lavori lontano da casa ne ho avuto esperienze, di difficoltà e contrasti dovuti al mio modo di “amare” ciò che è nuovo e di immedesimarmi con esso altrettanto, ma qui, in quei 600 metri che dal “ponte” giungono ai piedi della Rocca, ho riassaporato tutto ciò che immaginavo fosse l’essenza di un “paesino”.
E cosi, dal risveglio al suon di campane che scandiscono i quarti d’ora lasciando via orologi e telefoni, la scena continua nella mente con i primi passi giù verso valle, dove improbabili previsioni di affluenze e paragoni con il passato (purtroppo sempre errate negli ultimi sette giorni), diventano una costante scherzosa addobbata da cornici di “c’è una navetta?”, “per il ponte?”.
Da quella cornice di richieste e sorrisi, si inseriscono con un copione nuovo e originale, di giorno in giorno, i saluti e gli sguardi alla “bandiera”, dove amici “storici” dal cappello “cubano” improvvisano previsioni meteo al suono di “oggi tira dalla bielorussia!!!”.
La porta poi, si apre sulla piazza e l’ordine comincia a prendere il sopravvento su auto in doppia fila e su turisti avventati che mai hanno il tempo di violare il codice della strada; richiamati e osservati meticolosamente e rispediti con ordine all’ingresso, dove l’accoglienza diventa il punto di forza dell’ospitalità.
Da lontano, all’ingresso di via Roma, la figura rapida e inconfondibile di chi, con la penna pronta nel taschino, attende preoccupato l’arrivo del primo sole caldo e nel frattempo non molla la presa.
Il gazebo, intanto, si riempie e comincia il via vai dai “sapori antichi”. Una birra giunge al tavolo, qualcuno alza la mano, altri si attardano e altri si affrettano. Io invece, rispetto i tempi e dopo aver riscoperto l’esistenza del “caffè pagato” che qui a Sasso è divenuta una costante, mi diletto a dissetarmi con la “migliore acqua” dal tappo rosso! Una bevanda per me a tutti gli effetti.
Dodici tocchi, ne uno di più ne uno di meno, la piazza si riempie, qualcuno attende gli altri due tocchi piccoli per un aperitivo, dove non mancherà una Löwenbräu che, almeno in una dei due “bicchieri” finirà in un solo sorso.
Mentre i sorsi giungono al termine e nell’aver ricordato passaggi di conti e racconti, si arriva ai primi “disegni” di rappresentazioni teatrali e piante di palazzi. Sempre in allerta, sempre in attesa di “falsi allarmi” che diventeranno reali a breve!
Il sole ormai brucia sui palazzi, è l’ora di pranzo, a volte attraverso solo il municipio e telefono per un pranzo gourmet,in altre i passi fino al teatro e poi ai ristoranti sono allietati dall’ombra degli alberi al “palio” e una volta seduti, con pazienza e “sentimento” si prestano dinanzi odori e sapori tra “girasoli” e “strascinati”.
Ahimè però, il gusto nonostante si apprezzato e non poco, deve lasciar presto spazio al ritorno e riattraversando il borgo alla croce di Pietra per un breve rientro in casa, incontro chi mi consiglia dove gustar pietanze all’ombra di faggi e nel ventre del bosco.
Ormai è tardi, tre tocchi e altri due, si riprende il passo.
Il ponte è solo un filo conduttore che attraversa lo spazio e il tempo fino alla chiusura.
Quando i fari lentamente si accendono, l’oblò sull’Arenazzo punta al tramonto e un amico col quale ho avuto l’onore di pranzare, rientra e con uno sguardo di complicità mi da appuntamento alla sera o al prossimo mattino.
Otto tocchi grandi e due piccoli al calar della sera, comincia il rituale, tanto atteso e divenuto la costante unica e affascinante.
L’arrivo in “famiglia” come ormai lo definisco. Una famiglia sincera e leale che mi ha accolto come un fratello e che ha scandito ogni minuto del mio tempo libero.
Una rampetta, una balconata, un venticello sempre costante apprezzato in questa anomala estate sassese. I tocchi del campanile si susseguono senza tregua, il tempo passa “sotto i ponti” e le notti diventano un inno alle “confessioni” di Sant’ Augustiner (Bräu München).
Una chiara e una scura, poi due chiare e due scure, a volte quattro, a volte cinque. La compagnia è varia, sempre la stessa e mai uguale. Composta da capisaldi che ringrazio come colonne di questa estate, amici reali, veri, capaci di farmi ambientare in una realtà non mia, come se lo fosse stata da tempo.
Parole, fiumi di parole, di sorrisi e di preoccupazioni, ma sempre con l’animo di speranza e rivolto a quel flusso di persone che dalla Svizzera e il nord Italia affollano le vie fino a San Rocco. Serate fatte di richiami ad “ANGELO” che col tempo ho appreso non esser io, serate fatte di tavolate ricche di amici dove si lotta per pagare.
Piadine, panini, fritti, pulizie di fine stagione, promesse non ancora mantenute e chiusure notturne. Costanti che non diventano routine ma abitudini imperdibili, finché a volte, il sonno prende il sopravvento e appoggiando la testa sul bancone, riesco a riprendermi solo con un caffè “della notte” o con una pacca sulle spalle che mi invita a riposarmi e mi accompagna in auto fin sotto casa.
Cosi e senza troppi fronzoli, la mia estate sassese, intervallata solo da qualche caffè al volo, percorrendo 400 o 500 km per mangiare a base di pesce e rientrare in sede.
Un’estate particolare, unica, apprezzata ancor di più da quell’idea di alta montagna dove il camminare non diviene un sentirsi osservato, ma un sentirsi parte di un qualcosa.
Il paese va vissuto, conosciuto, amato e rispettato. Le sue tradizioni accolte e osservate; e credo che in tutto ciò abbia ritrovato per una volta, il mio vero modo di essere, senza timori di nascondermi o cercar modi differenti per esser apprezzato.
Grazie di cuore Sasso di Castalda per questi ventisette giorni e per queste ventisette sere. Grazie di cuore per aver fatto di un “forestiero” un vostro residente temporaneo, senza pregiudizi, senza pretese e con tanta disponibilità, tanto affetto e tanta cordialità